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In ordine alla validità contrattuale di quanto stabilito in relazione alla commissioni di massimo scoperto (C.M.S.)
Sul punto, si osserva quanto segue:
va preventivamente chiarito che, con la non specifica locuzione di commissione di massimo scoperto, le banche, prima delle modifiche dispositive del 2009 (art. 2 bis DL n. 185/2008 conv. in L. n. 2/2009 e DL n. 78/2009 conv. in L. n. 102/2009) e del 2012 (DL n. 201/2011 conv. in L. n. 214/2011, DL n. 1/2012 conv. in L. n. 27/2012, DL n. 29/2012 conv. in L. n. 62/2012), hanno per molti anni individuato ed utilizzato una serie di modelli, metodi e criteri di calcolo per il computo della stessa. Gli stessi potevano abbraciare una serie di modalità, che andavano dal pagamento di una somma percentuale calcolata sul massimo saldo dare che si è verificato nel trimestre (criterio assoluto), al pagamento di una somma percentuale sull' accordato, anche se non utilizzato (commissione mancato utilizzo), all'utilizzo di un criterio misto, parametrando detto onere talvolta ad una durata minima ininterrotta e talvolta no.
Ciò premesso in ordine all' assenza di un criterio/modalità univoco di computo della C.M.S., la giurisprudenza ha spesso pronunciato l'invalidità dell'istituto in ragione della mancanza di causa (così Cassazione Civile Sez. I n. 10127/2005, Trib. Lecce App. 11/10/2012, Trib. Milano n. 4081/2011, Trib. Parma 23/3/2010, Trib. Trento 03/02/2010, Trib. Torino 21/1/2010, Trib. Teramo 18/1/2010, Trib. Arezzo 19/08/2009, Trib. Salerno 12/6/2009, Trib. Tortona 19/5/2008, Trib. Monza 7/4/2006 e 12/12/2005, Trib. Lecce 21/11/2005 e 11/2/2005, App. Milano 4/4/2003, Trib. Milano 4/7/2002).
Anche la parte della giurisprudenza, ivi richiamata, che ha ammesso la teorica legittimità della clausola, in base al disposto dell'art. 117 TUB ha comunque ritenuto che la clausola stessa, per essere valida, debba verificare i requisiti della determinatezza o determinabilità dell'onere in questione che viene ad imporsi al cliente. E ciò accade solo quando siano espressamente previsti:
(Tribunale Monza 22/11/2011, Tribunale Piacenza 12/4/2011 n. 309, Tribunale Novara 16/7/2010 n. 774, Tribunale di Parma 23/3/2010, Tribunale Teramo 18/1/2010 n. 84, Tribunale Busto Arsizio 9/12/2009, Tribunale Biella 23/7/2009, Tribunale Genova 18/10/2006, Tribunale Monza 14/10/2008 n. 2755, Tribunale Cassino 10/6/2008 n. 402, Tribunale Vibo Valentia 28/9/2005, Tribunale Torino 23/7/2003, App.Roma 13/9/2001, App. Lecce 27/6/2000).
Il tutto, sempre in applicazione e accordo con l'art. 1346 c.c., secondo il quale ogni obbligazione contrattuale deve essere determinata o quanto meno determinabile, e ancor più nello specifico dell'art. 117 comma 4 TUB, che impone la forma scritta ad substantiam per ogni prezzo, condizione od onere praticati nei contratti bancari.
Posto che non vi è alcuna definizione dispositiva, ne tanto meno scientifica o tecnicobancaria della fattispecie in oggetto, si rileva come anche la sua pratica applicazione da parte dello stesso sistema bancario sia difforme e non univoca.
Ragion per cui, la C.M.S. è stata spesso diversamente definita e/o individuata.
Da tale difformità di natura e assenza di specificità è derivata anche la suddetta diversità di metodologie di computo.
Ed ancora, mancando l'anzidetta univocità..., anche in ordine alla periodicità di calcolo delle commissioni di massimo scoperto; in alcuni casi le stesse vengono computate dalla banca addirittura come un accessorio degli interessi, seguendo la stessa periodicità.
Ragion per cui, il termine commissione di massimo scoperto non è affatto ascrivibile ad una univoca fattispecie giuridica, quindi l'onere di determinatezza della previsione contrattuale delle C.M.S. deve essere vagliato con particolare puntualità, dovendosi con ciò individuare ed indicare tutti gli elementi che concorrono a determinarla (percentuale, base di calcolo, criteri e periodicità di addebito). In assenza dei suddetti elementi non puo' nemmeno riconoscersi un vero e proprio accordo delle parti su tale pattuizione accessoria, non potendosi ritenere che il cliente abbia potuto prestare un consenso consapevole, non potendosi rendere conto dell'effettivo contenuto giuridico della clausola e, della effettiva onerosità che procurerà nel tempo : in mancanza di ciò, l'addebito delle C.M.S. si traduce in una accordo con la banca che non trova legittimazione alcuna in ordine alla validità della pattuizione consensuale.
Ne conviene quindi che, non puo' ritenersi adeguatamente definita, la semplice indicazione, ad esempio, di un tasso percentuale accompagnato dalla locuzione 'commissione di massimo scoperto', senza ulteriori specificazioni sulla periodicità di applicazione della stessa, sui criteri di calcolo e base di computo.
Ragion per cui, è sin troppo evidente che, alla luce di quanto anzidetto, la C.M.S. risulta spesso nulla per indeterminatezza dell'oggetto, non essendo possibile cogliere i tratti tecnici-basilari del suddetto onere.
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